martedì 8 maggio 2018

8mm sull'Asse Attrezzato (2002)

Ho sempre avuto la passione per le forme d'espressione sperimentali, in particolare nel cinema e nella musica. Perché, per quanto gli esiti spesso finiscono per essere mediocri, l'atto di esplorare territori sconosciuti è sempre emozionante.
In questo mio curiosare nelle sperimentazioni artistiche, un giorno del 2002 mi imbattei in un brano di Franco Battiato, sconosciuto ai più, dal titolo .
Il brano, della durata di circa 20 minuti, copre l'intera facciata A del disco omonimo pubblicato dal cantautore catanese nel 1977. ” è composto quasi interamente da un solo accordo che si ripete a ritmi differenti durante il brano, ognuno con una certa regolarità. In pratica il senso del brano non sta nella melodia ma nelle variazioni di tempo in cui la stessa nota viene suonata. Insomma una cosa non proprio di facile ascolto. Ma all'epoca ero giovane, curioso e soprattutto avevo tanto tempo libero, quindi più di una volta mi sono dedicato all'ascolto ipnotico e alienante di questo brano. Ed ho avuto delle sorprese: quelli che inizialmente apparivano suoni monotoni e a volte quasi fastidiosi diventavano altro, prima sono diventati una punteggiatura dispettosa al mio flusso di pensieri e avevano il potere di cambiarne la direzione, poi queste pause che si allungavano e restringevano sono diventate una vera e propria sinfonia.
Proprio in quegli anni mi stavo avvicinando al mondo del video. L'anno successivo infatti avrei girato il mio primo cortometraggio (ne ho parlato qui). Quindi decisi di provare a fare una cosa ancora più folle di ascoltare questo brano ovvero cercare di dargli una rappresentazione visiva.
E cosa più di una superstrada con il suo flusso monotono e irregolare di auto poteva esserne la rappresentazione migliore?
Nasce così “8mm sull'asse attrezzato”, nove minuti di minimalismo sperimentale girati in video8, montati con due videoregistratori e giunti ad oggi dopo 4 o 5 riversamenti su vhs.

venerdì 4 maggio 2018

Zero (2005)

Una stanza, una videocamera, la solitudine, un cavalletto, del vino, un foglio di carta, una sigaretta, una penna, un amico poliglotta, Perugia, il 2005 e il quattroterzi. Tutto questo moltiplicato per zero fa comunque zero.



La stanza è quella della casa dello studente, dove ho vissuto buona parte della mia vita universitaria. La videocamera su cavalletto è poggiata al posto del letto, che per l’occasione avevo trascinato verso la porta. Il punto di vista che ne è uscito fuori quindi è lo stesso che avevo io ogni giorno e ogni sera che mi sedevo sul letto e, ascoltando la musica, rimanevo a fissare un po' a vuoto davanti a me.
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, quella finestra, quel televisore messo storto che non guardavo quasi mai, quel lavandino sono entrati nell’immaginario dei miei pensieri, una sorta di costante che, qualsiasi cosa accadesse, rimaneva sempre fissa.

Quando poi ho iniziato a giocare con le immagini e a girare i primi cortometraggi ho capito che quella immagine non la potevo lasciare fuori. Ed è diventato il teatro di questo breve flusso di coscienza in bianco e nero e verde e viola e blu e giallo.
E bianco.
E nero.
E zero.