domenica 11 dicembre 2016

martedì 6 dicembre 2016

Macchina da scrivere

Il mio primo racconto lo scrissi nel 1992, all'età di dodici anni. Era una scimmiottatura di Ventimila leghe sotto i mari, ma non è di questo che voglio parlare. La cosa che ricordo con maggiore affetto di quel racconto è la macchina da scrivere che ho usato. Era stata acquistata da mio nonno in Svizzera negli anni 60 e poi regalata a mio padre, il quale non la utilizzava quasi mai se non per scrivere lettere formali dall'impaginazione impeccabile. Quando mi concessero di poterla usare ero emozionato e intimorito. La bic blu sul foglio a quadretti era una cosa da pivelli, noi grandi autori avevamo la macchina da scrivere, mi dicevo. Quando cominciai a picchiettare i tasti e le asticelle metalliche iniziarono a battere con forza sul foglio arrotolato scattò qualcosa. Una sorta di sensazione di onnipotenza. Dalla mia fantasia le parole si facevano inchiostro e si presentavano con un'eleganza molto più matura di me.
L'imprinting di quell'esperienza me la porto dietro ancora oggi, pigiando inutilmente con forza la tastiera del computer. Ma non è solo questo. Da allora non ho più smesso di scrivere, ho buttato giù decine di racconti, centinaia di poesie e addirittura tre film, di cui uno l'ho anche girato. E ogni volta che mi metto a scrivere qualcosa torna ad allora. A quella macchina da scrivere, a quei martelletti che trasferivano l'inchiostro da un nastro al foglio, a tutte le sue sbavature e a quell'emozione provata la prima volta. Non stupitevi quindi che in gran parte dei miei lavori, in un modo o nell'altro, compaia una macchina da scrivere.


A questa suggestione non scampa nemmeno il mio ultimo racconto, "Il jazz dell'Artico", disponibile in formato ebook qui: https://www.amazon.it/dp/B01M61YJ4X e in formato cartaceo qui: https://www.amazon.it/dp/152011642X/ref=cm_sw_r_fa_dp_t2_7ietybRB8M7Q2