venerdì 17 marzo 2017

Anti-war blues


Negli anni 60 il tema della guerra, del suo orrore e della necessità di diffondere un messaggio antimilitarista permeava l'arte e la cultura. I cantautori, gli scrittori, il cinema, i movimenti studenteschi e chi più ne ha più ne metta producevano e diffondevano grande cultura contro la guerra.

Sarà perché il secondo conflitto mondiale era finito da appena vent'anni e quindi era in qualche modo ancora fresco nella memoria e poi la guerra fredda e il vietnam... insomma l'attualità faceva sentire la guerra vicina. Poi dagli anni 70 e a seguire nei decenni successivi, la guerra sembra essersi allontanata da noi. Non che sia scomparsa, purtroppo nel mondo è continuata ad essere sempre presente, ma nel nostro mondo occidentale è sembrata relegata a qualcosa del passato. C'è stato qualche movimento per i conflitti nati dopo la caduta del muro, come quello in ex jugoslavia, ma senza coinvolgere in maniera consistente la cultura del periodo.

Poi dal 2001 è arrivato prepotente il terrorismo islamico e la guerra si è ripresentata anche per il mondo occidentale. Ma è cambiato il modo di raccontarla e si è fatto di tutto per non chiamarla col proprio nome. Missione di pace, il sinonimo più in voga. Ora nel panorama internazionale si sta affacciando una crisi profonda alla quale sembra prospettarsi più delle altre una pericolosa soluzione: l'interruzione del dialogo.

La stanno portando avanti in primis gli Stati Uniti con Trump, seguiti dai populismi di destra sparsi un po' dovunque. Chiudersi in se stessi e guardare a brutto musi gli altri. A mio giudizio motivata dal declino ormai irrecuperabile del sistema capitalista (che ai danni procurati non prevede alcuna soluzione se non proseguire nella sua strada) e senza alternative comunitarie da questa crisi sta venendo fuori una cultura della forza, del cinismo nazionalista, della minaccia. Tutto ciò è con ogni evidenza alla base di qualsiasi guerra. E quello che noto è che non c'è molta consapevolezza dei rischi verso cui stiamo andando incontro. Le immagini che ci arrivano dalla Siria, dalla Libia e da tutta quella parte del mondo martoriata dai conflitti ci tange poco. Problemi loro, è quello che in fondo pensa la maggior parte di noi. Nel mondo occidentale la guerra appartiene al passato, è una cosa che non ci tocca più: questa è un'altra assurdità che senza nemmeno rendercene conto in fondo pensiamo.

Ho scritto questa riflessione per dire che in questo momento storico ho sentito forte l'esigenza di tornare a parlare della guerra e della sua assurdità. Dipenderà forse dal fatto che sono diventato padre e oggi più che ieri pensare al mondo che lasceremo in eredità ai nostri figli è fortissimo, non lo so dire. Ma la guerra è una montagna di merda e tocca ricordarlo più frequentemente.

E nel mio piccolo ho voluto dare un contributo, in maniera ironica, grottesca, con il gusto per l'assurdo. Per quello che è possibile addirittura scherzandoci su. Perché in fondo la forza della narrativa sta tutta là, poter parlare di temi anche seri attraverso la fantasia, il gioco, il paradosso. Ma l'importante è parlarne, perché il silenzio è molto spesso parente della complicità.


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