Negli anni 60 il tema della guerra, del
suo orrore e della necessità di diffondere un messaggio
antimilitarista permeava l'arte e la cultura. I cantautori, gli
scrittori, il cinema, i movimenti studenteschi e chi più ne ha più
ne metta producevano e diffondevano grande cultura contro la guerra.
Sarà perché il secondo conflitto
mondiale era finito da appena vent'anni e quindi era in qualche modo
ancora fresco nella memoria e poi la guerra fredda e il vietnam...
insomma l'attualità faceva sentire la guerra vicina. Poi dagli anni
70 e a seguire nei decenni successivi, la guerra sembra essersi
allontanata da noi. Non che sia scomparsa, purtroppo nel mondo è
continuata ad essere sempre presente, ma nel nostro mondo occidentale
è sembrata relegata a qualcosa del passato. C'è stato qualche
movimento per i conflitti nati dopo la caduta del muro, come quello
in ex jugoslavia, ma senza coinvolgere in maniera consistente la
cultura del periodo.
Poi dal 2001 è arrivato prepotente il
terrorismo islamico e la guerra si è ripresentata anche per il mondo
occidentale. Ma è cambiato il modo di raccontarla e si è fatto di
tutto per non chiamarla col proprio nome. Missione di pace, il
sinonimo più in voga. Ora nel panorama internazionale si sta
affacciando una crisi profonda alla quale sembra prospettarsi più
delle altre una pericolosa soluzione: l'interruzione del dialogo.
La stanno portando avanti in primis gli
Stati Uniti con Trump, seguiti dai populismi di destra sparsi un po'
dovunque. Chiudersi in se stessi e guardare a brutto musi gli altri.
A mio giudizio motivata dal declino ormai irrecuperabile del sistema
capitalista (che ai danni procurati non prevede alcuna soluzione se
non proseguire nella sua strada) e senza alternative comunitarie da
questa crisi sta venendo fuori una cultura della forza, del cinismo
nazionalista, della minaccia. Tutto ciò è con ogni evidenza alla
base di qualsiasi guerra. E quello che noto è che non c'è molta
consapevolezza dei rischi verso cui stiamo andando incontro. Le
immagini che ci arrivano dalla Siria, dalla Libia e da tutta quella
parte del mondo martoriata dai conflitti ci tange poco. Problemi
loro, è quello che in fondo pensa la maggior parte di noi. Nel mondo
occidentale la guerra appartiene al passato, è una cosa che non ci
tocca più: questa è un'altra assurdità che senza nemmeno
rendercene conto in fondo pensiamo.
Ho scritto questa riflessione per dire
che in questo momento storico ho sentito forte l'esigenza di tornare
a parlare della guerra e della sua assurdità. Dipenderà forse dal
fatto che sono diventato padre e oggi più che ieri pensare al mondo
che lasceremo in eredità ai nostri figli è fortissimo, non lo so
dire. Ma la guerra è una montagna di merda e tocca ricordarlo più
frequentemente.
E nel mio piccolo ho voluto dare un
contributo, in maniera ironica, grottesca, con il gusto per
l'assurdo. Per quello che è possibile addirittura scherzandoci su.
Perché in fondo la forza della narrativa sta tutta là, poter
parlare di temi anche seri attraverso la fantasia, il gioco, il
paradosso. Ma l'importante è parlarne, perché il silenzio è molto
spesso parente della complicità.
Il jazz dell'Artico è disponibile su Amazon.
In formato ebook qui: https://www.amazon.it/dp/B01M61YJ4X
In formato cartaceo qui: https://www.amazon.it/dp/152011642X/ref=cm_sw_r_fa_dp_t2_7ietybRB8M7Q2
In formato ebook qui: https://www.amazon.it/dp/B01M61YJ4X
In formato cartaceo qui: https://www.amazon.it/dp/152011642X/ref=cm_sw_r_fa_dp_t2_7ietybRB8M7Q2