Anche se ho sempre avuto una certa dimestichezza con le parole riguardo a certi temi a volte le trovo inadeguate. Come nel caso dei morti di migranti nel mediterraneo, degli uomini, delle donne e dei bambini abbandonati ad una sorte tragica e ingiusta. Avevo bisogno di un grido e quel grido si è condensato in queste immagini.
mercoledì 4 luglio 2018
lunedì 25 giugno 2018
Autobus (1998)
Sul finire degli anni novanta, come molti tardo-adolescenti, scrivevo molto. Perlopiù poesie e piccoli racconti. Era un modo come un altro per cercare di dare forma all’emotività e alla confusione tipica di quell’età. Uno dei tanti scritti di quel periodo però ha avuto una storia particolare.
Il mini racconto in questione si intitolava Autobus e metteva insieme in ordine sparso una serie di sensazioni mentre il protagonista era seduto sul sedile di un autobus extraurbano e guardava fuori dal finestrino.
L’ho scritto probabilmente mentre ero seduto su un autobus extraurbano e guardavo fuori dal finestrino (incredibile, no?) e poi, come la maggior parte delle cose che scrivevo, è finito accatastato in mezzo a decine di fogli e quaderni.
Tempo dopo, non ricordo perché, mi capitò tra le mani questa strana scatoletta: lo YAMAHA QY20. Quest’ibrido a cavallo tra l’era precomputer e l’era del computer era un Music Sequencer Rhythm Machine, con il quale si poteva comporre musica o quantomeno combinare una serie di suoni campionati.
Foto del mio originale Yamaha QY20 riesumato da una scatolone del soffitto dei miei
Non essendo un musicista sarebbe stato molto saggio rivendere questo curioso oggetto a chi ne avrebbe saputo fare qualcosa di buono, ma all’epoca non brillavo in saggezza, anzi ero nella fase dell’incosciente sperimentazione artistica a tutti i livelli.
A dirla tutta non ricordo minimamente come ho fatto, sono passati 20 anni del resto, comunque quello che ricordo è che decisi di studiarne per sommi capi il funzionamento e che mi dedicai alla composizione di una base musicale da utilizzare per un reading recitato di alcune mie poesie.
La scelta del testo che avrebbe fatto da cavia è caduta su Autobus e quindi, partendo da quello scritto, ne è nata questa cosa difficilmente definibile un po' reading, un po' canzone, un po' opera psichedelica.
Purtroppo non è stata l’unica cosa che ho fatto con questa bizzarra scatola, ma questa è stata la più strana e la più incosciente per cui la ricordo con piacere.
Ah, inutile ribadire che erano ancora gli anni ‘90, anche se stavano finendo, e questa registrazione non poteva che avvenire su audiocassetta. A risentirlo oggi devo dire che la cosa più bella è quel romantico fruscio del nastro magnetico consumato.
martedì 8 maggio 2018
8mm sull'Asse Attrezzato (2002)
Ho sempre avuto la passione per le forme d'espressione sperimentali, in particolare nel cinema e nella musica. Perché, per quanto gli esiti spesso finiscono per essere mediocri, l'atto di esplorare territori sconosciuti è sempre emozionante.
In questo mio curiosare nelle sperimentazioni artistiche, un giorno del 2002 mi imbattei in un brano di Franco Battiato, sconosciuto ai più, dal titolo “Zâ”.
Il brano, della durata di circa 20 minuti, copre l'intera facciata A del disco omonimo pubblicato dal cantautore catanese nel 1977. “Zâ” è composto quasi interamente da un solo accordo che si ripete a ritmi differenti durante il brano, ognuno con una certa regolarità. In pratica il senso del brano non sta nella melodia ma nelle variazioni di tempo in cui la stessa nota viene suonata. Insomma una cosa non proprio di facile ascolto. Ma all'epoca ero giovane, curioso e soprattutto avevo tanto tempo libero, quindi più di una volta mi sono dedicato all'ascolto ipnotico e alienante di questo brano. Ed ho avuto delle sorprese: quelli che inizialmente apparivano suoni monotoni e a volte quasi fastidiosi diventavano altro, prima sono diventati una punteggiatura dispettosa al mio flusso di pensieri e avevano il potere di cambiarne la direzione, poi queste pause che si allungavano e restringevano sono diventate una vera e propria sinfonia.
Proprio in quegli anni mi stavo avvicinando al mondo del video. L'anno successivo infatti avrei girato il mio primo cortometraggio (ne ho parlato qui). Quindi decisi di provare a fare una cosa ancora più folle di ascoltare questo brano ovvero cercare di dargli una rappresentazione visiva.
E cosa più di una superstrada con il suo flusso monotono e irregolare di auto poteva esserne la rappresentazione migliore?
Nasce così “8mm sull'asse attrezzato”, nove minuti di minimalismo sperimentale girati in video8, montati con due videoregistratori e giunti ad oggi dopo 4 o 5 riversamenti su vhs.
venerdì 4 maggio 2018
Zero (2005)
Una stanza, una videocamera, la solitudine, un cavalletto, del vino, un foglio di carta, una sigaretta, una penna, un amico poliglotta, Perugia, il 2005 e il quattroterzi. Tutto questo moltiplicato per zero fa comunque zero.
La stanza è quella della casa dello studente, dove ho vissuto buona parte della mia vita universitaria. La videocamera su cavalletto è poggiata al posto del letto, che per l’occasione avevo trascinato verso la porta. Il punto di vista che ne è uscito fuori quindi è lo stesso che avevo io ogni giorno e ogni sera che mi sedevo sul letto e, ascoltando la musica, rimanevo a fissare un po' a vuoto davanti a me.
Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, quella finestra, quel televisore messo storto che non guardavo quasi mai, quel lavandino sono entrati nell’immaginario dei miei pensieri, una sorta di costante che, qualsiasi cosa accadesse, rimaneva sempre fissa.
Quando poi ho iniziato a giocare con le immagini e a girare i primi cortometraggi ho capito che quella immagine non la potevo lasciare fuori. Ed è diventato il teatro di questo breve flusso di coscienza in bianco e nero e verde e viola e blu e giallo.
E bianco.
E nero.
E zero.
lunedì 12 febbraio 2018
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