domenica 17 dicembre 2017

4:58



Mi sveglia la rumorosa vibrazione del vetro della finestra. Apro gli occhi e mi giro alla mia destra, la mia compagna e nostro figlio di 15 mesi continuano a dormire. Per fortuna il vento non li ha svegliati. Guardo la radiosveglia, il display segna le 4:58. Nel lettone, oltre alla mia compagna e nostro figlio, intravedo altri due esseri dormienti. Il gatto rosso sta acciambellato proprio sui miei piedi, con la sua zampa dolcemente poggiata sull'alluce e le sue unghie un po' meno dolcemente piantate sul calzino che ricopre l'alluce. Se non mi muovo ho speranza di cavarmela. In fondo, dall'altra parte del letto, c'è il gatto tartarugato che invece dorme per i fatti suoi, anche se arrotolato in una postura che non saprei come descrivere.
Ok, mi dico, posso provare a riaddormentarmi che qua non sono nemmeno le 5. Ma il vento continua a far sbattere le finestre e le unghie del gatto rosso affondano sul calzino, quindi mi arrendo abbastanza facilmente e decido di alzarmi. Vado in cucina e metto su un caffé, nell'attesa che esca accendo anche il computer. Sto nella semi oscurità, ho acceso solo la piccola lampada che sta vicino alla libreria. Quasi quasi mi metto a scrivere un po'. Che poi più di una persona me l'ha chiesto: ma perché scrivi? In effetti il mio lavoro, quando ce l'ho, è un altro. Inoltre le cose che ho scritto in passato e che in qualche modo ho pubblicato non è che hanno avuto un particolare riscontro. Quindi perché? Perché mi piace, mi rilassa. Non è che se uno non è un calciatore professionista oppure un talento non se la va a fare la partita a calcetto con gli amici. Uno ci va per rilassarsi e divertirsi, senza dover avere necessariamente ambizioni. Per lo scrivere è la stessa cosa. Lo faccio perché mi piace (o forse perché non mi piace giocare a calcio, chissà).
Mi affaccio alla finestra. Fuori è tutto buio, nemmeno i lampioni sono accesi. Solo una piccola finestra con le grate nel palazzo di fronte. Solo quel piccolo spiraglio di luce nella totale oscurità della notte. La moka sbuffa, mentre il vento già lo faceva. Prendo il caffè e mi siedo davanti al computer.
Poi sento un grido provenire dalla strada. Mi alzo per andare a vedere e dal vetro della mia finestra scorgo la sagoma di un uomo che si dispera proprio nel mezzo della strada. Sembra che si sia fatto male. Nella penombra della notte mi sembra di riconoscere il suo sguardo, che ora è fisso verso di me. Quindi lancia un nuovo urlo. È una questione d'istinto, non mi soffermo nemmeno a ragionarci. Prendo il cappotto e scendo in strada, con ai piedi ancora le ciabatte. Faccio le scale rumorosamente, apro il portone ed eccomi anch'io sulla strada. Non c'è nessuno. La strada è vuota e buia. E fredda. Ma com'è possibile?! Proprio adesso stava qui! Quindi mi guardo intorno, il vento è fortissimo e mi entra nelle ossa, la tentazione di rientrare subito in casa è forte ma decido di spingermi verso il bivio della strada, perché mi dico che non può essere scomparso nel nulla. Mentre muovo il primo passo verso il bivio il mio piede incontra qualcosa, forse un sasso. Il mignolo nudo incontra la roccia e mi faccio un male terrificante. Non riesco a trattenermi e urlo. Il mio grido risuona nella strada vuota e buia. E fredda. Dalla piccola finestra con le grate, l'unica illuminata, si affaccia un uomo. Quell'uomo sono io. No, non uno che mi somiglia, sono proprio io, con i miei vestiti, i miei occhiali, i miei occhi. Oh cazzo! Sono io che mi guardo da dietro la finestra. Urlo di nuovo. Il me stesso che sta dietro la finestra scompare mentre sento in lontananza un suono elettronico monotono e fastidioso. Che si fa sempre più forte. 

Apro gli occhi. Sono a letto. Alla mia destra c'è la mia compagna e nostro figlio. Ai miei piedi il gatto rosso è acciambellato. In fondo, dall'altro lato, il gatto tartarugato dorme per i fatti suoi. Dalla finestra entra prepotente la luce del sole mentre la sveglia segna le 8:30 ed emette quel suono monotono e fastidioso. La mia compagna apre gli occhi e nostro figlio le sorride. Io allungo la mano per spegnere la sveglia, poi do un bacio ad entrambi mentre il gatto rosso affonda un'unghia sul mio alluce.

lunedì 4 dicembre 2017

Il mandante è la luna


La cosa bella delle avanguardie è quel breve ma intenso momento di libertà che ti regalano. Come quando a scuola ti hanno descritto il dadaismo e tu hai pensato “Ma dai! Quindi si può fare anche questo?”. In quell'istante hai avuto la consapevolezza che con quel mezzo, che sia stata la scrittura, la pittura o il cinema avresti potuto fare davvero di tutto. È la libertà allo stato puro. 

Quell'effetto poi svanisce in fretta e spesso rimane solo un'opera bizzarra che non sai nemmeno come collocare emotivamente. Ma quell'istante iniziale, beh quell'istante vale più di tutto il resto. Ed è ripensando a quei brevi momenti che tutt'oggi adoro soffermarmi sulle avanguardie.

Questo video realizzato un annetto fa, che non avevo ancora pubblicato su youtube, è un affettuoso omaggio ad una di loro.



giovedì 23 novembre 2017

All'ombra del gazometro




Quando arriva il momento mi tolgo le cuffie e le ripongo vicino al mouse, facendo attenzione a non intrecciare il filo che le collega al computer, poi indosso il cappotto ed esco dall'ufficio. Attraverso la strada e mi fermo dal fruttivendolo a comprare tre mandarini. Cammino quindi con in mano la busta di carta con la frutta e mi dirigo verso il Tevere. Quando è nuvoloso, come oggi, guardo il cielo perché è più affascinante del traffico. Quando è sereno invece preferisco guardare le auto che sfrecciano veloci e intossicano l'aria. Che sia nuvoloso o sereno dopo pochi minuti arrivo sul ponte di Via del Porto Fluviale e mi appoggio sulla barriera di ferro di fronte al Gazometro. Prendo quindi altre cuffie, ma questa volta sono auricolari, e inserisco il jack nello smartphone. Quindi inizio ad ascoltare un album di Miles Davis. Ultimamente mi sono fissato con In a Silent Way. Il suono avvolgente della tromba si mescola al rumore del traffico, creando un curioso remix postmoderno. Poi prendo il primo mandarino dalla busta di carta, lo sbuccio con noncuranza e mangio uno spicchio dopo l'altro. Il tutto guardando il gazometro.

Questa struttura metallica imponente non riesce a lasciarti indifferente, cattura lo sguardo anche quando vuoi guardare altrove. Quando capisci che non puoi fare altrimenti smetti di contrastarti e rimani lì a fissarlo. Lo fissi mentre pensi ai tuoi sensi di colpa preventivi, al dubbio se riuscirai ad essere un bravo genitore, se riuscirai a dare a tuo figlio quello di cui ha bisogno, se già ora sei troppo presente o troppo poco. Non lavori abbastanza - servono più soldi - o - lavori troppo - ha bisogno di maggiore tempo da dedicargli. I pensieri fluiscono veloci, così come le auto dietro di te. La tromba invece procede lenta e fluida. E il gazometro infine è fermo, immobile. Immobile come te di fronte a lui. Finché non comincia a piovere e decidi di tornare in ufficio, con ancora due mandarini da mangiare.

sabato 21 ottobre 2017

Low-fi

L'idea era questa. Avere un'immagine astratta dalla quale però emergono alcuni dettagli e alcune sagome riconoscibili. Di quelle immagini che ad una prima occhiata ti sembrano totalmente astratte ma che se poi ti ci soffermi ti regalano nuovi dettagli. Di quelle immagini, insomma, la cui resa dipende dal tempo di fruizione.


Le prime prove le ho fatte in metropolitana, giocando sul movimento e sui riflessi. Di decine di foto, solo due mi hanno comunicato quello che cercavo. Le due foto sono queste.

Low-fi n.1


Low-fi n.2



venerdì 6 ottobre 2017

Niente di più, niente di meno (2003)

Era il 2003, avevo 23 anni e giravo il mio primo cortometraggio. Certo a rivederlo ora ha la qualità dei video di Bin Laden che all'epoca registrava dalle montagne dell'Afghanistan. E questo non solo perché l'ho girato in analogico su nastro hi8 (manco la miniDv c'avevo), ma soprattutto perché, dopo averlo montato su un computer dell'epoca, l'ho riversato su VHS e su quel nastro è arrivato ad oggi. Ad ogni modo, nonostante le enormi carenze tecniche che già allora aveva, questo cortometreggio fu incredibilmente selezionato ad un festival in Piemonte, il Monferrato Film Festival…

Comunque il film si intitola "Niente di più, niente di meno" e fotografa un frammento di vita di uno studente fuori sede.
Non ricordo bene cosa avevo in mente all'epoca ma nel rivederlo oggi ho trovato tutto surreale. La recitazione, i tempi, i dialoghi. Tutto quasi normale, tutto vagamente fuori posto.
E poi la storia dei puffi comunisti…



Niente di più niente di meno from Danilo Melideo on Vimeo.