lunedì 5 giugno 2017

Al tavolo di un bar


Oggi ero in un bar di Piazza Borghese. Con telecamera, microfono targato Tg1 e computer. In attesa della chiamata del giornalista, che poteva arrivare come non arrivare. Il lavoro delle troupe per il tg funziona anche così. Essere pronti per uscire se c'è qualcosa. E se non c'è, non c'è. Si aspetta e basta. Oggi è stato un giorno in cui non c'è. È venuto qualcos'altro oggi però, oltre al cameriere a chiederci di consumare qualcosa. Quello che è venuto è stato un pensiero piccolo. Che poi è diventata una storia confusa. Che poi si è fatta meno confusa. E che poi è stata scritta su un taccuino che mi porto sempre dietro. E che poi ha avuto anche un titolo. E che poi probabilmente rimarrà nel taccuino a far compagnia ad altre storie abbandonate. Di solito succede così, solo rare volte queste storie vincono la pigrizia e diventano altro che appunti scritti male e di fretta. Ma poi chissà magari mi sbaglio. E un altro giorno, quando tutto sembra fermo magari tornerà, oltre al cameriere a chiederci di consumare, anche l'ispirazione per continuare a scrivere e far diventare questi appunti un vero racconto o una sceneggiatura. Nel frattempo comunque oggi ho consumato. Un succo alla mela verde. Era buono.

mercoledì 19 aprile 2017

Radio Alarm Blues

Ci pensavo da un po', da quando abbiamo comprato una radiosveglia per tenere sott'occhio durante la notte gli orari delle poppate di Alessandro. Più o meno diciassette anni fa scrissi una poesia su una radiosveglia. Ne avevo un ricordo vago, però ricordavo di aver fatto anche questa cosa nella mia vita. Solo che di quella poesia non avevo più traccia. Finché tornando a casa di mia mamma, tra i mille fogli della mia vecchia cameretta, l'ho ritrovata. Quando l'ho scritta avevo vent'anni ed era il mio primo anno all'università. Del perché gli abbia dato un titolo così ridicolo invece non ho minimamente memoria.

venerdì 17 marzo 2017

Anti-war blues


Negli anni 60 il tema della guerra, del suo orrore e della necessità di diffondere un messaggio antimilitarista permeava l'arte e la cultura. I cantautori, gli scrittori, il cinema, i movimenti studenteschi e chi più ne ha più ne metta producevano e diffondevano grande cultura contro la guerra.

Sarà perché il secondo conflitto mondiale era finito da appena vent'anni e quindi era in qualche modo ancora fresco nella memoria e poi la guerra fredda e il vietnam... insomma l'attualità faceva sentire la guerra vicina. Poi dagli anni 70 e a seguire nei decenni successivi, la guerra sembra essersi allontanata da noi. Non che sia scomparsa, purtroppo nel mondo è continuata ad essere sempre presente, ma nel nostro mondo occidentale è sembrata relegata a qualcosa del passato. C'è stato qualche movimento per i conflitti nati dopo la caduta del muro, come quello in ex jugoslavia, ma senza coinvolgere in maniera consistente la cultura del periodo.

Poi dal 2001 è arrivato prepotente il terrorismo islamico e la guerra si è ripresentata anche per il mondo occidentale. Ma è cambiato il modo di raccontarla e si è fatto di tutto per non chiamarla col proprio nome. Missione di pace, il sinonimo più in voga. Ora nel panorama internazionale si sta affacciando una crisi profonda alla quale sembra prospettarsi più delle altre una pericolosa soluzione: l'interruzione del dialogo.

La stanno portando avanti in primis gli Stati Uniti con Trump, seguiti dai populismi di destra sparsi un po' dovunque. Chiudersi in se stessi e guardare a brutto musi gli altri. A mio giudizio motivata dal declino ormai irrecuperabile del sistema capitalista (che ai danni procurati non prevede alcuna soluzione se non proseguire nella sua strada) e senza alternative comunitarie da questa crisi sta venendo fuori una cultura della forza, del cinismo nazionalista, della minaccia. Tutto ciò è con ogni evidenza alla base di qualsiasi guerra. E quello che noto è che non c'è molta consapevolezza dei rischi verso cui stiamo andando incontro. Le immagini che ci arrivano dalla Siria, dalla Libia e da tutta quella parte del mondo martoriata dai conflitti ci tange poco. Problemi loro, è quello che in fondo pensa la maggior parte di noi. Nel mondo occidentale la guerra appartiene al passato, è una cosa che non ci tocca più: questa è un'altra assurdità che senza nemmeno rendercene conto in fondo pensiamo.

Ho scritto questa riflessione per dire che in questo momento storico ho sentito forte l'esigenza di tornare a parlare della guerra e della sua assurdità. Dipenderà forse dal fatto che sono diventato padre e oggi più che ieri pensare al mondo che lasceremo in eredità ai nostri figli è fortissimo, non lo so dire. Ma la guerra è una montagna di merda e tocca ricordarlo più frequentemente.

E nel mio piccolo ho voluto dare un contributo, in maniera ironica, grottesca, con il gusto per l'assurdo. Per quello che è possibile addirittura scherzandoci su. Perché in fondo la forza della narrativa sta tutta là, poter parlare di temi anche seri attraverso la fantasia, il gioco, il paradosso. Ma l'importante è parlarne, perché il silenzio è molto spesso parente della complicità.


Il jazz dell'Artico è disponibile su Amazon.
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sabato 14 gennaio 2017

11 inquadrature

Una sceneggiatura brevissima. Tre pagine. Undici inquadrature. Scritta per il solo gusto di scriverla.






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lunedì 2 gennaio 2017

Una bizzarra favola contro la guerra



No, non si trova in libreria il mio romanzo. Al momento è disponibile solo su Amazon, ma in entrambi i formati. Sia in versione digitale scaricabile a questo link:
e sia nella più tradizionale forma cartacea che in pochi giorni vi arriva a casa e che è ordinabile qui:
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Chi mi chiede di spiegargli in breve di "che parla" mi mette un po' in difficoltà. Quello che posso dire è che si tratta di una bizzarra favola contro la guerra, con qualche parolaccia e un forte gusto per l'assurdo.

Infine a chi mi chiede come mai mi sono messo a scrivere un libro non rispondo, perché dai, che v'aspettate che risponda?